venerdì 1 febbraio 2013

Il Palermo in bianco e nero del Presidentissimo

LA MEMORIA

Il Palermo in bianco e nero
del Presidentissimo

Un libro celebra Renzo Barbera a dieci anni dalla morte. Io lo ricordo appassionato e timido. Ma soprattutto innamorato dei suoi giocatori
Renzo-Barbera


La prima volta fu sul finire degli anni Settanta. Renzo Barbera, elegante e sorridente come sempre, si avvicinò a quel gruppo di cronisti assetati di notizie che stazionava davanti all’ingresso dello stadio, la Favorita, come si chiamava allora. C’erano i giornalisti più rappresentativi dell’epoca, tranne uno: io. Ero il
biondino” del Giornale di Sicilia, così venivano definiti una volta gli aspiranti giornalisti, quelli che muovevano i  primi passi animati dalla passione, dalla speranza e dal desiderio di trasformare un gioco in una professione.
Barbera strinse la mano a tutti e quando incrociò il mio sguardo timido, da ultimo della classe, mi sollevò da ogni imbarazzo: “Ah, piacere di conoscerla, avremo modo di incontrarci…”. Bloccato dall’emozione riuscìi a sibilare una sola parola: “Presidente….”. Ma quella veloce presentazione la considerai un messaggio benaugurante: incontrarci in altre occasioni avrebbe significato occuparmi di lui, del Palermo, insomma… una crescita professionale importante, per me che, in quel periodo, frequentavo più i campi polverosi della Prima Categoria che non le poltroncine ruvide ma prestigiose della tribuna stampa della vecchia Favorita.
Negli anni successivi capìi che quel modo di porsi, quell’atteggiamento semplice e generoso, non era per nulla costruito. Renzo Barbera era veramente così, un gentlemen dallo stile inconfutabile, un aristocratico per il quale non esistevano steccati sociali né formalismi. Non si negava a nessuno, sia che l’interlocutore fosse Gianni Agnelli o “Vicè u’ pazzu”, lo storico tifoso che si dipingeva la faccia di rosa e nero. Renzo Barbera si presentò ai suoi funerali e ai familiari sorpresi rispose con una semplicità disarmante: “Non potevo mancare, era il minino che potessi fare. Vicè me lo trovavo accanto ad ogni viaggio, mi sentivo in dovere di accompagnarlo in questa sua ultima trasferta”.
Ogni mattina davanti alla sua villa c’era la processione. Chi chiedeva un biglietto, chi un posto di lavoro, chi un favore. Il “Presidentissimo” non chiudeva mai la porta in faccia. Era il papà di tutti, dei giocatori e dei tifosi, ai quali regalò il ritorno in serie A e le due amarissime finali di Coppa Italia contro Bologna e Juventus. Forse Maurizio Zamparini ha ottenuto calcisticamente qualcosa in più, ma non potrà mai competere con Barbera per stile, passione e sentimento. E mai riuscirà a scalzarlo dal cuore dei palermitani. L’eleganza, la credibilità e l’amore non si comprano al supermercato, né tanto meno la fiducia e la competenza. Barbera non disponeva di grandissime risorse, ma viveva per il suo Palermo, fino al punto da mettere a rischio le sue rendite personali e le sue aziende, ipotecando perfino la sua villa.
Già, la villa. Quella sua villa antica immersa nel verde che ancora oggi svetta sontuosa e imponente tra il grigio cemento di via dei Nebrodi. Quando anch’io ricevetti un invito a casa Barbera, il cuore mi batté forte. Era un attestato di amicizia, di riconoscimento professionale, di fiducia. Davanti ad un bicchiere di passito di Pantelleria, Renzo mi raccontò diversi aneddoti rosanero e poi mi lasciò di stucco: “Ma perché non ci diamo del tu?”. Mentre con gli occhi scrutavo ogni angolo di quella casa-museo, rimasi stordito.
C’era un piatto d’argento regalato dai giocatori nel 1974, nell’anno della maledetta finale con il Bologna. Sopra c’era scritto: “A papà Renzo”, e poi le firme di tutti i calciatori. “Allora, ci diamo del tu”?, ribadì. Dissi di sì, ma devo confessare che non mi è mai venuto facile. E spesso aggiravo l’ostacolo con il classico “presidente”. Come la prima volta.
Con Barbera non c’è mai stato un rapporto confidenziale. Come è capitato ad altri colleghi. Ma a distanza di dieci anni dalla sua scomparsa, resta vivo il ricordo di un personaggio unico, di un “Gattopardo” che aveva lo sport nel sangue, quando lo sport era lontano anni luce dagli interessi di oggi, dagli imbrogli, dai milioni di euro e dalle devastazioni della pay-tv.
I colleghi Paolo Vannini e Roberto Gueli hanno tracciato la straordinaria figura di Renzo Barbera in un libro che è da pochi mesi in libreria. Un volume – impreziosito anche da bellissime immagini – da leggere tutto d’un fiato, che ricorda l’uomo e l’imprenditore, ma soprattutto il suo stile, la sua passione per la squadra e la città.
Mi hanno chiesto, nell’occasione, un breve ricordo, che ho sintetizzato così: “Chissà quanti altri aneddoti mi avrebbe raccontato Renzo, se fossi riuscito ad accettare almeno uno dei deliziosi inviti nel suo buen retiro di Pantelleria. Chissà quante altre volte mi avrebbe delicatamente ringraziato (e imbarazzato) per averlo citato – anche brevemente – in un mio articolo. Chissà quanto ha perso il calcio senza la sua saggezza, la sua signorilità, la sua umanità.
Certo, sarebbe un calcio migliore. Nostalgia? Certo, soprattutto se pensiamo ai vari Zamparini, Pulvirenti, Preziosi, Galliani, ai Conte e Marotta degli ultimi giorni… Ma quali insegnamenti dà oggi il pallone ai nostri figli?

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